«Con rara lucidità e certamente basandosi sulle acquisizioni di secoli di teoria estetica, Winfried Menninghaus ha messo al centro della sua teoria compensativa il concetto di "illusione" [... ], uno dei concetti fondamentali dell'estetica classica che oggi trova nuove basi biologiche nella nozione di deception [...]. [Noi] in italia non possiamo fare a meno che riferirci al nostro Leopardi che, con inunusitata lungimiranza, considerò le illusioni il destino dell'umanità ma anche una risorsa biologica fondamentale per la salute mentale e per la sopravvivenza [...].» (M. Cometa, Perché le storie ci aiutano a vivere. La letteratura necessaria)
«Se avesse voluto sostenere una tesi, l'autore avrebbe scritto un saggio (come tanti altri che ha scritto). Se ha scritto un romanzo, è perché ha scoperto, in età matura, che di ciò di cui non si può teorizzare, si deve narrare». (U. Eco, dal risvolto di copertina della prima edizione del Nome della rosa)
«Attraverso lo scarto prodotto rispetto al “reale” dalla creazione artistica [...], quando ci disponiamo in un atteggiamento aperto allʼesperienza estetica, guardando un quadro, andando a teatro, al cinema, o leggendo un romanzo, siamo costretti a sospendere temporaneamente la nostra presa sul mondo, liberando energie fino a quel momento indisponibili, mettendole al servizio di una nuova ontologia regionale che può rivelarci nuovi aspetti di noi stessi. Più che una sospensione dʼincredulità, lʼesperienza estetica suscitata da molta produzione artistica può essere letta, appunto, come una “simulazione liberata”. Nella finzione artistica la nostra inerenza allʼoggetto è totalmente libera dai normali coinvolgimenti personali diretti con la realtà quotidiana. Siamo liberi di amare, odiare, provare terrore, piacere, facendolo da una distanza di sicurezza. Questa distanza di sicurezza che rende la mimesi catartica può mettere in gioco in modo più totalizzante la nostra naturale apertura al mondo.» (V. Gallese, Corpo non mente. Le neuroscienze cognitive e la genesi di soggettività ed intersoggettività)
«Ed ecco la bellezza. Abbiamo inteso la bellezza [...] come una risonanza incarnata particolarmente riuscita tra noi e gli altri e tra noi e il mondo, tale da estendere le nostre capacità di sentire [...].» (V. Gallese-U. Morelli, Cosa significa essere umani?)
«Perché ho visto tante cose che io non avrei voluto vedere… Non ho neanche le parole per descriverle… Ma se guardo attraverso questa macchina [fotografica] scelgo di vedere un po' di speranza e un po' di forza… Scelgo come vivere con questa macchina.» (K. Loach, The Old Oak)
«Se la civiltà non può farne a meno [della bellezza] è perché costituisce una parte essenziale della nostra natura neurobiologica. Per nulla superflua, è neurobiologicamente essenziale.» (S. Zeki, Splendori e miserie del cervello)
«Se […] la funzione dell'arte è un'estensione di quella del cervello, vale a dire l'acquisizione della conoscenza del mondo, e se il cervello la realizza formando concetti di tutto ciò che sperimenta, allora è ragionevole supporre che i meccanismi usati per trasfondere il significato in questo mondo siano proprio gli stessi usati per trasfondere il significato nelle opere d'arte. Sono proprio questi meccanismi a cui sono ricorsi gli artisti per crerare le loro opere; gli stessi che noi usiamo per interpretare le loro realizzazioni.» (S. Zeki, Splendori e miserie del cervello)
«A questo proposito l’arte – una delle più elevate espressioni della complessità umana e delle più raffinate modalità di rappresentare sensazioni ed emozioni – ci fornisce una testimonianza preziosa sul funzionamento del cervello e in ultima istanza dell’uomo». (S. Zeki-L. Lumer, La bella e la bestia: arte e neuroscienze)
«Gerhard Richter sostiene che è attraverso la pittura che si arriva a fare esperienza dei significati più profondi e complessi dell’immagine, e noi possiamo aggiungere che è attraverso l’arte che si intuiscono le dinamiche più profonde e complesse del sistema nervoso umano.» (S. Zeki-L. Lumer, La bella e la bestia: arte e neuroscienze)
«Sia lo scienziato che l’artista vivono ai confini della realtà, giocando sul delicato margine tra percezione e immaginazione, fisico e metafisico, materiale e immateriale. Come scrisse Simone Weil, entrambi si trovano a "essere appena l’intermediario fra la terra incolta e il campo arato, fra i dati del problema e la soluzione, fra la pagina bianca e la poesia... [...]"» (S. Zeki-L. Lumer, La bella e la bestia: arte e neuroscienze)