Correlazioni
: narrazione, letteratura, arte, in rapporto con neuroscienze cognitive e altri studi scientifici e disciplinari
Per cercare di comprendere il
posto dell'arte nel vivere umano

"Specchiarsi" nei classici: neuroscienze, cultura umanistica e società

"Specchiarsi" nei classici: neuroscienze, cultura umanistica e società

Scrive il latinista Ivano Dionigi in Di fronte ai classici


Si può fare senza classici, ma si vive meno bene; la comunicazione appare più povera e il dialogo interrotto: senza l’Ulisse di Omero non avremmo il “folle volo” di Dante né sapremmo dare un volto alla nostra “cupido noscendi”; senza l'Antigone di Sofocle ci sarebbe meno cara la supremazia delle leggi non scritte (“agrapta nomima”); senza l’Enea di Virgilio non avremmo cognizione del “victor tristis”; senza il “carpe diem” di Orazio non riusciremo a dare forma al nostro dolente sentimento del tempo; senza il lessico di Seneca non si darebbe il linguaggio dell’interiorità di Agostino e Petrarca. (Di fronte ai classici, a cura di I. Dionigi, Rizzoli, 2002)


Ricordo che il neuroscienziato Vittorio Gallese, nel contesto di una lezione del corso, che ho frequentato, sulle basi neuroscientifiche dell’esperienza estetica, riferì che chi vive in Amazzonia potrebbe più di altri avere parole per definire le varie sfumature di verde esistenti, e che secondo alcuni studiosi questo equivale a una sensibilità percettiva diversa da quella di una persona che non vive in Amazzonia, che non solo avrebbe meno parole per distinguere vari tipi di verde ma anche meno capacità di farlo. 
Parole per riconoscere e dire, parole per percepire, sentire, conoscere e capire. E in ciò che ci consegnano le parole dei classici della letteratura greca e latina, come indicato da Dionigi, ci sono dunque possibilità, particolarmente raffinate, di percezione ed emozione, sentimento e cognizione, tese tra sfera individuale e realtà sociale. E oggi possiamo sostenerlo anche su base neuroscientifica. Spiega lo studioso Giacomo Rizzolatti in un’intervista per Rai Cultura: 


Perché è interessante la scoperta dei neuroni specchio, e poi ebbe tanto successo anche tra il pubblico? Perché in pratica indica un meccanismo per cui uno capisce l'altro senza dovere fare dei processi logici inferenziali, lo capisce direttamente, lo capisce subito, lo capisce come se l'altro fosse se stesso. Questo diventa ancora più chiaro se uno pensa a un successivo passo che abbiamo fatto sui neuroni specchio, ed è quello che riguarda le emozioni: se io ho uno stimolo che mi emoziona - noi abbiamo fatto l'esperimento sul disgusto, dove io sono disgustato perché c’è un odore cattivo - ho l’attivazione di una certa area; se vedo una persona che è disgustata, mi si attiva esattamente la stessa porzione; quindi il disgusto non è una cosa che io capisco intellettualmente, dico “ah quel poveretto lì e disgustato”; e la stessa cosa è stata fatta per il dolore […]: dentro di me soffro, ho il disgusto, ho quello stesso senso che ho visto nell’altro, quindi questo crea una comunità di emozioni […], crea effettivamente l'empatia. (Giacomo Rizzolatti e la scoperta dei neuroni specchio, Rai Cultura - Scienza, a partire da min. 7 circa)

La ricerca neuroscientifica ha messo in luce che il “meccanismo” spiegato da Rizzolatti si attiva in relazione a percezioni, emozioni, azioni, e – fatto particolarmente significativo per la cultura artistico-letteraria – anche in esperienze di immaginazione, di lettura o ascolto di una narrazione, di un’opera letteraria, davanti a un’opera d’arte di vario tipo. Spiega in particolare Gallese a proposito del rapporto tra narrativa, immaginazione e il “meccanismo”, denominato "simulazione incarnata”: 


Un ulteriore interessante contributo recente delle neuroscienze cognitive è la scoperta che quando leggiamo o ascoltiamo narrazioni le incarniamo letteralmente attivando una parte sostanziale del nostro sistema sensorimotorio (v. Glenberg & Gallese, 2011; Pulvermüller, 2005). L'attivazione delle rappresentazioni motorie nel cervello del lettore o dell'ascoltatore è stata dimostrata a livello fonoarticolatorio, così come durante l'elaborazione delle espressioni linguistiche legate all'azione (parole e frasi) e degli aspetti morfo-sintattici del linguaggio. Questa evidenza, sebbene ampiamente discussa, indica un ruolo causale dell’ES [embodied simulation, simulazione incarnata] nell’elaborazione e nella comprensione del linguaggio […] Tuttavia, la simulazione incarnata può verificarsi anche quando immaginiamo di fare o percepire qualcosa. […] Se visto da una prospettiva neuroscientifica, il confine che separa il mondo reale da quello immaginario appare quindi molto meno netto di quello che gli esseri umani hanno pensato per secoli. Questo aspetto è particolarmente interessante se riferito alla creatività artistica e alla sua fruizione. L'artista attraverso la sua fantasiosa creatività dà vita ad un mondo immaginario che non solo condivide molte caratteristiche con quello reale, ma anche alcuni dei processi neurali alla base. Il nostro rapporto con i mondi immaginari è duplice: da un lato fingiamo che siano veri, dall’altro siamo pienamente consapevoli che non lo sono. […] Inoltre, esiste un aspetto contesto-dipendente che caratterizza il nostro rapporto con le storie narrate, sia quando le leggiamo nei romanzi, sia quando le raccontiamo o le ascoltiamo all'interno del setting psicoanalitico. Questo aspetto riguarda il nostro allontanamento dal mondo esterno non correlato, che rimane alla periferia del nostro centro di attenzione, proprio come la cornice che circonda il dipinto di Cezanne. Tale distanziamento, questa temporanea sospensione della presa effettiva sulle nostre occupazioni quotidiane, libera nuove energie simulative. La nostra esperienza delle narrazioni, più che una sospensione dell’incredulità, può quindi essere interpretata come una sorta di “simulazione incarnata liberata”. Quando ci relazioniamo con una storia narrata (ma anche quando assistiamo a uno spettacolo teatrale o a un film), la nostra ES si libera, cioè viene liberata dal peso di modellare la nostra presenza effettiva nella vita quotidiana (Gallese, 2010; Wojciehowski & Gallese, in stampa). Attraverso uno stato immersivo in cui la nostra attenzione è focalizzata sul mondo virtuale narrato, possiamo dispiegare pienamente le nostre risorse simulative, lasciando vacillare per un po’ la nostra guardia difensiva nei confronti della realtà quotidiana. Infine, va aggiunto che l’inquadratura corporea contestuale che normalmente accompagna la nostra lettura di un romanzo – il nostro essere fermi – potenzia ulteriormente il nostro ES. Durante la lettura, non solo focalizziamo interamente la nostra attenzione sull'opera letteraria, ma il nostro essere ci consente contemporaneamente di dispiegare pienamente le nostre risorse ES al servizio della relazione immersiva con i personaggi narrati, generando così un potente sentimento di corpo. L’esperienza particolarmente commovente generata dalla lettura di romanzi è quindi probabilmente guidata anche da questo senso di sicura intimità con un mondo che non solo immaginiamo, ma che letteralmente incarniamo (traduzione di passi tratti da V. Gallese, Embodied Simulation Theory: Imagination and Narrative, in “Neuropsychoanalysis”, 2011, 13 (2), pp. 197-9). 

Leggendo o ascoltando narrazioni di percezioni, sensazioni, emozioni, atti, li comprendiamo, viviamo empatia, anche sulla base della simulazione corporea che in noi si attiva. 
Esistono studi, poi, che mettono in luce che c’è un rapporto tra la letterarietà di un testo e proprio l’empatia possibile attraverso la lettura (v. D. C. Kidd, E. Castano, Reading literary fiction improves theory of mind, in “Science”, 2013, 342(6156), pp. 377–80; M. C. Pino, M. Mazza, The Use of “Literary Fiction” to Promote Mentalizing Ability, in “Plos One”, 4 agosto 2016; D. Kidd, E. Castano, Different stories: How levels of familiarity with literary and genre fiction relate to mentalizing, in “Psychology of Aesthetics, Creativity, and the Arts”, 2017, 11(4), pp. 474–86). Un'empatia, quella generata dalla letteratura, in rapporto con quel suo effetto di verità coincidente «con la singolarità peculiare dell'esperienza vissuta» (I. CalvinoSpie. Radio di un paradigma indiziario), non con una teoria generale sull'uomo.
Dunque la constatazione di Dionigi riguardo ciò che non potremmo, non sapremmo, non avremmo e – aggiungo – non vivremmo senza i classici, oggi trova anche basi scientifiche.
Fatti tragici di questi tempi pongono la questione della necessità di un’educazione dei giovani a relazionalità e affettività, con cui naturalmente l’empatia è in rapporto. Ovviamente l’educazione non è mai un insieme di istruzioni per l’uso, tanto meno in riferimento a certe sfere dell’esistenza umana. Un’educazione a relazionalità e affettività, poi, non passa certo prioritariamente o esclusivamente attraverso i canali dell’educazione e istruzione formali: non ci insegnano per esempio proprio le neuroscienze dei neuroni specchio che comprendiamo gli altri “mettendo a frutto” noi stessi a partire dalla nostra corporeità, e che nella relazione dunque facciamo sia esperienza di chi ci sta accanto sia di un livello fondamentale del nostro esistere? Educano all'affettività esperienze dell’affettività, ed educano alla relazionalità le relazioni
Ma sappiamo anche, intanto, che pure altre esperienze come quelle strutturabili formalmente in percorsi scolastici possono dare il loro specifico contributo a certa educazione. E in riferimento a tale possibilità, anche alla luce delle neuroscienze cognitive, oggi sappiamo più approfonditamente che c’è in certa cultura, come l’umanistica, la classica, l’artistico-letteraria, una possibilità educativa, ricca in misura proporzionale alla ricchezza di certe opere, che è di tipo non solo cognitivo, dunque, ma anche affettivo e relazionale. Eppure, se non erro, quando si è parlato di tale possibilità educativa nel contesto della scuola, di cultura umanistica si è parlato poco, o nient’affatto... Perché? 
Scrive ancora Dionigi, nel 2002: 

Questo libro [Di fronte ai classici] nasce dalla volontà di fornire un lessico e delineare un orizzonte entro cui iscrivere un dibattito reale e aggiornato sui classici greci e latini, che rischiano di essere esiliati prima dalla scuola, poi dall'università, infine dalla coscienza dell'intera nazione. Nel nostro paese periodicamente si tenta di riformare tutto l'ordinamento dell'istruzione senza alcuna riflessione sulla memoria e sull’eredità del passato: convinti che i classici siano merce o inutile o per pochi e, più in generale […] che la vita sia proprietà esclusiva dei vivi, una proprietà di cui i trapassati non possiedono azioni. Così, rapidamente siamo giunti a un'idea di censura-censura del passato surrogata da parole d'ordine taumaturgiche e trinità idolatriche come Inglese Internet Impresa [...] Si aggiunga il duplice paradosso per cui da un lato i legislatori tutti, di qualunque segno politico, spergiurano di non voler emarginare i classici, dall'altro gli stessi classicisti non sono in grado di indicare strade praticabili e credibili per diffondere una cultura che interessi non solo l'intellettuale ma anche l'uomo comune, non solo l’uomo europeo ma anche l’operatore di Wall Street, non solo l'Occidente ma anche le culture “altre”. Le cause, anche le più giuste, si perdono se vanno in mano ad avvocati sbagliati.

Inglese, internet e impresa, per guardare al “mercato”. Oggi si sostiene che la scuola debba rispondere alle esigenze del mercato del lavoro. Ma, del resto, è possibile definirlo, e quindi definirne le esigenze, in una società come l’attuale, fluida, problematica anche fino a mettere in discussione i confini dell’umano, senza avere la complessità come chiave di lettura, certe discipline come sua base, e certa cultura, umanistica per riflettere sull’umano, come il gigante sulle cui spalle salire? 
Da pochi giorni è uscito un libro di Peter Burke dal titolo “Ignoranza. Una storia globale” (Raffaello Cortina Editore, 2023), di cui l’oggetto della trattazione starebbe diventando sempre più oggetto di specifici studi disciplinari. Questo dato, insieme a una presentazione del testo di Burke, mi ha offerto l’occasione per rimettere a fuoco il fatto che forse siamo tendenzialmente inclini a credere che ad agire nella storia, e nelle storie, sia, principalmente, ciò di cui abbiamo consapevolezza e conoscenza, e a non attribuire all’ignoranza analogo, pesante, ruolo di agente.
Ebbene, tra le cose che oggi non possiamo (più) ignorare c’è il fatto che la “terza cultura”, del dialogo in più direzioni tra scienza, arte, letteratura, è un terreno fertile per diversi ambiti del vivere, individuali e sociali; che è ribadito anche scientificamente che prendersi cura del posto nell’esistenza umana di certo patrimonio artistico-letterario, gigante sulle cui spalle salire, può contribuire a comprendere percezioni, sensazioni, emozioni, cognizioni che fanno l'umano, e che dunque certo patrimonio umanistico va trovando nella scienza un nuovo, solido fondamento a supporto del suo studio, a supporto della sua collocazione nei sistemi educativi.


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