«L’infinito in una mano»: scegliamo parole dell’artista C. Parmiggiani, riportate da M. Recalcati, come titolo per questo suggerimento di ascolto, ascolto del podcast di una lezione tenuta dal noto psicoanalista nel 2023, sull’arte di Parmiggiani stesso, e poi di Rothko, Van Gogh, Burri, Pollock, Fontana, Vedova, Kounellis, Morandi. Artisti che propongono un’idea nuova di corpo, di natura, oggetti, realtà fisica, e anche di arte: portando la materialità di tutto questo in primo piano, Parmiggiani e gli altri autori ne rivelerebbero proprio la componente immateriale, che ha a che fare con la tendenza umana a ricercare, invocare ciò che è assente, a costeggiare i limiti di visione, rappresentazione, comunicazione; che ha a che fare con il modo in cui il lavoro della creazione e oggetti creati agiscono sul loro autore e acquisiscono “vita autonoma”; con il modo in cui cose segnate da tempo e caducità riescano a figurare durata, vita che non finisce; Parmiggiani e gli altri artisti rivelerebbero della materia, poi, ciò che ha a che fare con l’esplorazione di uno dei misteri umani più profondi, la fine della vita fisica.
Un’arte, quella di cui parla Recalcati, che prova a spostare in avanti i confini della consapevolezza collettiva, mostrando una compenetrazione di materiale e immateriale, di corpo e mente, opera e intuizione estetica, visibile e invisibile, finito e infinito, spinta fino all’impossibilità ultima di distinguerli.
La direzione di questa esplorazione artistica è relazionabile con la ricerca neuroscientifica che oggi va rendendoci consapevoli del contributo del corpo a facoltà cognitive cosiddette “superiori”? delle quali in passato si riteneva che la base neurobiologica fossero solo localizzate aree cerebrali esclusivamente dedicate a linguaggio e cognizione? (V. per esempio V. Cuccio - V. Gallese, Tra neuroni ed esperienza. Simulazione incarnata, linguaggio e natura umana, 2014.) Nell’arte di cui parla Recalcati c’è qualcosa di relazionabile con la considerazione dello psicologo J. Gibson (v. J. Gibson, The Senses Considered as Perceptual Systems, 1966) secondo cui la separazione di cultura materiale e non materiale possa essere fuorviante? Ha qualcosa in comune con la visione di certa archeologia, come quella “cognitiva” di I. Hodder (v. I. Hodder, Entangled: An Archaeology of the Relationships Between Humans and Things, 2012), secondo cui uomini e cose si costruiscono in un ambiente in virtù di una reciproca relazione?
Cliccando qui è possibile ascoltare la (tanto suggestiva) lezione di Recalcati.
