Nel saggio Il romanzo come spettacolo (1970), Italo Calvino parla del genere come di un «addestramento delle nostre emozioni e paure e dei nostri processi conoscitivi»; e riflettendo, a proposito del suo racconto Il conte di Montecristo, sul rapporto della letteratura con la realtà, sottolineato il ruolo decisivo della lettura, del lettore, nel definire il carattere di tale rapporto, ne dà una possibile descrizione paragonandolo al rapporto tra una fortezza reale e una pensata:
Se riuscirò col pensiero a costruire una fortezza da cui è impossibile fuggire, questa fortezza pensata o sarà uguale alla vera (…) o sarà una fortezza dalla quale la fuga è ancora più impossibile che di qui, e allora è segno che qui una possibilità di fuga esiste: basterà individuare il punto in cui la fortezza pensata non coincide con la vera per trovarla. (Cibernetica e fantasmi - Appunti sulla narrativa come processo combinatorio) [1967])
Una consapevolezza teorico-letteraria relazionabile con attuali ipotesi neuroscientifiche intorno alla funzione conoscitiva di arte e letteratura?
Più che una sospensione dʼincredulità, lʼesperienza estetica suscitata da molta produzione artistica può essere letta, appunto, come una “simulazione liberata”. Nella finzione artistica la nostra inerenza allʼoggetto è totalmente libera dai normali coinvolgimenti personali diretti con la realtà quotidiana. Siamo liberi di amare, odiare, provare terrore, piacere, facendolo da una distanza di sicurezza. Questa distanza di sicurezza che rende la mimesi catartica può mettere in gioco in modo più totalizzante la nostra naturale apertura al mondo.» (V. Gallese, Corpo non mente. Le neuroscienze cognitive e la genesi di soggettività ed intersoggettività, in "Educazione sentimentale", settembre 2013, pp. 8-24)